Le tipologie di barbatelle: come si distinguono

By | 25 Maggio 2022
barbatelle

Se decidiamo di realizzare un vigneto, dobbiamo pensare a ciò che dobbiamo piantare, a quelle piccole piantine o piccole viti che comunemente si pensa si debbano realizzare. In realtà non è così, perché nel voler mettere a punto un vigneto non si piantano delle piccole viti, ma si parte con il considerare le cosiddette barbatelle. Cerchiamo allora di definire che cos’è una barbatella, come si ricava e quante tipologie ne esistono, per poterci orientare al meglio nelle nostre scelte già a cominciare dalla predisposizione e dalla preparazione del vigneto.

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Che cosa sono le barbatelle

Come abbiamo la possibilità di vedere su vivaisommadossi.it, le barbatelle vengono ricavate dalle viti già sviluppate. Da queste viene tagliato un tralcio, che si chiama anche talea. Questo pezzo di vite viene messo all’interno del terreno o a volte anche la sabbia o la segatura. L’obiettivo in ogni caso è quello di fare in modo che dall’estremità tagliata si sviluppino le radici, quell’insieme di radici che viene designato con il termine barba. È proprio da questo che deriva la parola barbatella.

Questo processo è possibile perché la vite, così come tante altre piante, ha la capacità di rigenerarsi, di ricostruire delle parti che in precedenza sono state tagliate. Nel momento in cui le radici si sono sviluppate, il tralcio iniziale adesso si considera una vite autonoma in tutto e per tutto.

Quante tipologie di barbatelle esistono

Esistono varie tipologie di barbatelle. Ci sono per esempio quelle tradizionali, che sono lunghe circa 33 centimetri. Si possono trovare in commercio comunque anche le varietà innestate di lunghezze superiori, che arrivano a 40 centimetri. Poi possiamo scegliere anche i barbatelloni lunghi 80 centimetri. A seconda delle varie esigenze è possibile rintracciare diversi generi di piante, da uva da tavola o da vino.

Perché si innestano le barbatelle

Spesso, parlando delle barbatelle, si parte da quelle già innestate. Questo vuol dire che la barbatella è ottenuta dall’unione di due tralci, che si chiamano bionti, che poi vengono uniti. La parte inferiore si chiama portinnesto ed è proprio da questa che si genera l’apparato radicale. La parte superiore invece si chiama nesto, ma si può chiamare anche marza, gentile o epibionte. La parte superiore costituisce la chioma della barbatella.

Sicuramente utilizzare delle piante già innestate comporta alcuni vantaggi. Innanzitutto si anticipa la produzione e poi con il portinnesto si può agire correggendo alcune caratteristiche del nesto, vantaggio che si riscontra per esempio quando il nesto tende a sviluppare molte foglie.

Ma perché nel tempo si è diffusa la pratica di innestare le barbatelle? Tutto risale alla fine dell’Ottocento, quando in Europa comparve la fillossera. Si tratta di un parassita che è originario del Nord America e che si è diffuso in Europa tramite le barbatelle infette importate dal continente americano.

Per la vite europea l’attacco da parte della fillossera è stato terribile, perché ha apportato dei danni molto gravi, soprattutto alle radici che venivano distrutte nel giro di poco tempo. I produttori dell’epoca erano poco preparati ad affrontare un disastro del genere. Alla fine però fu trovato un rimedio.

Si trattava proprio degli innesti, che dimostravano di essere maggiormente resistenti all’azione della fillossera. I produttori capirono che potevano fermare l’azione distruttiva di questo parassita mettendo insieme le radici della vite nordamericana e la chioma di quella europea. Per questo cominciarono ad essere prodotte delle barbatelle con portinnesti americani e nesti europei.

Ancora oggi quindi si sfrutta la tecnica dell’innesto, anche perché in effetti tutto ciò rende particolarmente resistenti i tralci. Per concludere il lavoro poi si passa attraverso il passaggio della paraffinatura. Si usa la paraffina in forma liquida, che serve a proteggere le barbatelle dalla disidratazione.